raffaele solaini
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Dopo quarantaquattro e passa anni di onorata carriera parlamentare, Ciriaco De Mita, classe 1928, non sarà più candidato. Più che di una notizia, si tratta di un normale pensionamento, sul quale, tuttavia, si discute: salutare rinnovamento, o concessione alla moda giovanilistica? Un dibattito ozioso, che non coglie il dato politico del giorno. De Mita rimarrà fuori; al suo posto entrerà fra le fila del Partito Democratico una rappresentanza radicale e, vale la pena sottolinearlo, il giuslavorista Pietro Ichino. Messa in questi termini, la bocciatura di De Mita appare piuttosto una scelta. Una netta inversione di tendenza, rispetto alla stagione dei Democratici di Sinistra, nell’epoca del governo Prodi. Quando si discuteva, discuteva e ancora discuteva con Mastella e Diliberto, mentre l’economista Nicola Rossi faceva le valigie.

Quali iniziative politiche ha sostenuto Ciriaco De Mita nel suo recente passato parlamentare? Pochi lo saprebbero dire. Né aiuta consultare il sito della Camera dei Deputati, dove compare un solo disegno di legge presentato: misure a tutela dei comuni con meno di cinquemila abitanti. Nessuna mozione, interpellanza o interrogazione. Un po’ poco. Ben diverso appare il profilo dei radicali e del professor Ichino. Identificati, i primi, con posizioni fin troppo nette sui temi cosiddetti eticamente sensibili. Ma non solo. Autore, il secondo, di una copiosa pubblicistica, attraverso la quale ha diffuso i risultati della sua attività accademica. Agitatore di appassionate discussioni sul ruolo dei sindacati e su una riforma del welfare capace di riportare giustizia sociale in un mondo del lavoro in rapida trasformazione. Lascia un signore che, come da consolidata scuola Dc, si rivolgeva ai cittadini per dire il meno possibile. Entrano idee e persone che le sostengono con la massima chiarezza.

Sarà ora più difficile accusare Veltroni di furbesca ambiguità. La retorica del “ma anche”, eredità della stagione politica durante la quale si è cercato di conciliare l’inconciliabile, non appartiene certo né a Emma Bonino, né a Ichino. Una scelta coraggiosa candidarli. È prevedibile che la loro presenza incrinerà la ancor fragile coesione interna del Partito Democratico, sollevando nodi fondamentali non del tutto risolti, quali il confronto fra laici e cattolici e la rappresentanza del mondo del lavoro. E tuttavia, occorrono idee forti e valori trainanti per unire la società in nome di un progetto. Valori intorno ai quali riconoscersi e per i quali, se del caso, dividersi. La presenza dei radicali e di Ichino, sostenitori entrambi di riforme di stampo liberale, renderà la scelta fra le diverse proposte politiche più chiara, e quindi più libera. Anche questa è una buona notizia.

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(Affaritaliani.it, 21-02-2008)